venerdì 24 aprile 2020

Recensione: Un amore

Un amore



Autore: Dino Buzzati
Anno di pubblicazione: 1963
Genere: Narrativa
Editore italiano: Mondadori

Sinossi della trama
Antonio Dorigo è un noto e benestante architetto milanese mai sposatosi perché incapace di avere con le donne un rapporto duraturo e non riesce a restare a contatto con le donne se non per un rapporto che non sia di natura puramente carnale e mercenaria. Per tale ragione è altresì un frequentatore abituale della casa di appuntamenti gestita dall'affabile signora Ermelina, dalle cui ragazze non è mai stato deluso.
Un giorno si reca alla casa per incontrare una ragazza nuova, la Laide, pensando di vivere un incontro come tanti... ma per la prima volta gli succede qualcosa del tutto inatteso: si innamora, forse per la prima volta, della giovane compagna di letto e per la prima volta si impegna per instaurare una relazione duratura, con tutto ciò che tale sforzo comporta... con una persona molto più giovane e fin da subito non particolarmente propensa a ricambiare i sentimenti del maturo Dorigo.

Commento al testo
Benché il titolo e la storia sembrino rimandare ad una storia d'amore con i suoi alti e bassi, questo romanzo è tutt'altro che uno scritto amoroso, perché si incentra invece sulla passione scatenata dall'amore stesso, un amore improvviso, imprevisto ed imprevedibile e più che mai tormentato in un uomo sottilmente malinconico ed abituato ad una vita soddisfacente, autosufficiente e complessivamente lineare.
L'impulso di una nuova passione si rivela travolgente e sconvolgente per Dorigo, che mai aveva vissuto nulla del genere e che lo plasma e lo trasforma in un individuo che non era mai stato per convinzioni, professionalità e spessore intellettuale, tanto da farlo risultare sempre più irriconoscibile agli altri e anche a se stesso. In tale suo vissuto non viene affatto aiutato proprio dall'oggetto del suo desiderio, la giovane Laide che è invece distaccata, subdolamente intelligente e a tratti pure meschina non lo ricambia, lo stimola, lo stuzzica e si fa mantenere dal vecchio architetto, di cui non accetta né l'affetto né la gelosia e insiste a vivere la propria vita a proprio modo.
Le vicende hanno poi uno sfondo molto concreto, una Milano a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, una città in cui molte trasformazioni sono in atto e che vengono cavalcate e godute da Laide e che invece non hanno attrattiva per Dorigo, il quale li vive solo per cercare vanamente di conquistare il cuore della sua giovane ballerina, di cui ha solo il corpo, ma non lo spirito: è questa una delle chiavi che rendono l'amore non ricambiato di Dorigo un tormento che strugge e distrugge, un amore solo passionale e non puro o completo.

Questo romanzo, nato da un episodio realmente vissuto dall'autore e da una sua tormentata relazione con una donna molto più giovane di lui e conclusasi in maniera differente rispetto alla storia scritta, si presenta molto particolare non solo in relazione alle tematiche, ma anche rispetto allo stile: Buzzati in quest'opera usa un punto di vista apparentemente esterno, ma si incentra solo ed esclusivamente sul personaggio di Dorigo, sulle sue azioni e più ancora sul suo modo di vivere ed interpretare il mondo e le emozioni che prova. Per renderle al meglio, Buzzati impiega una tecnica di cosiddetto monologo interiore, che è a volte dimentica dell'ortografia e rende i pensieri e la sfera emotiva del protagonista in un modo fluido e senza molti freni o argini, che per certi versi lo avvicina un po' all'Ulisse di James Joyce fino allo spiazzante finale.
Il risultato è un romanzo che getta una luce inconsueta e ancora oggi originale sulla passione maschile e sul modo in cui viene vissuta, in una via non scontata e anzi molto divergente dai canoni e dagli stilemi del genere amoroso e molto spiazzante e controcorrente soprattutto rispetto al pensiero e al sentire comune dell'epoca in cui è originariamente stato pubblicato.

Curiosità
Da questo romanzo autobiografico è stato anche tratto un adattamento cinematografico nel 1965, a malapena due anni dopo la pubblicazione dello scritto.

mercoledì 22 aprile 2020

Recensione. Il Deserto dei Tartari

Il Deserto dei Tartari


Autore: Dino Buzzati
Anno di pubblicazione: 1940
Genere: Narrativa
Editore italiano: Rizzoli, Mondadori

Sinossi della trama
Giovanni Drogo, giovane militare fresco di promozione, viene assegnato alla remota Fortezza Bastiani, una guarnigione di confine arroccata su un paesaggio vasto e sconfinato, da cui non si sa mai se e quando compariranno i Tartari, il nemico invasore ignoto.
Il giovane ufficiale si abitua presto alle rigide regole della disciplina militare e alla routine quotidiana, che scandisce man mano la vita alla Fortezza.

Commento al testo
Questo romanzo ha decretato il successo di Buzzati nella letteratura italiana e per paradosso il motivo è che l'opera non si caratterizza per un'ambientazione chiaramente identificabile o descritta in maniera maniacale o per intreccio particolarmente laborioso o complesso e anzi la semplicità è il punto di forza e di pregio dell'opera: la narrazione si scandisce infatti quasi integralmente in un ambiente militare fittizio, la Fortezza Bastiani, senza alcuna collocazione geografica o storica definita, descritto in maniera abbastanza semplice e con molti dettagli lasciati all'immaginario. Gli intrecci sono altresì raccontati con ritmi pacati e con il sopraggiungere di ben pochi eventi rilevanti nella vita del protagonista e degli altri soldati assegnati alla Fortezza Bastiani dall'inizio alla fine.
Il vero fulcro del romanzo e delle vicende è un altro ed è molto più sfumato e metaforico: il lento ed inevitabile incedere del tempo su una vita sempre uguale, sempre scandita dagli stessi ritmi e dalle stesse abitudini, rigida ed inflessibile, per molti versi monotona eppure al tempo stesso ipnotica ed ammaliante, non tanto con uno scopo, ma con la ricerca di un senso del tempo speso nelle stesse cose e nelle medesime abitudini.
Nemmeno gli eventi più rilevanti non riescono a turbare il ritorno alla solita routine e la visione da essa indotta e persino gli affetti più cari e i ritmi di luoghi e di intere fasi della propria vita hanno tutto un altro sapore ed una dissonanza alienante, tale che non si riesce più ad inserirvisi una volta adattati ed assuefatti a quella che si può metaforicamente ritenere la droga di una vita scandita in maniera meccanica e regolare.
La conclusione poi non è nemmeno delle più scontate ed è soggetta anch'essa a molteplici interpretazioni possibili... come in fondo è vero anche per la vita nelle sue fasi, in particolare l'ultima di esse, di cui il romanzo è lunga metafora.
Il segreto della forza di questo romanzo ed il motivo del suo successo e della sua ancora spiccata attualità risiedono quindi nella forza della metafora della vita e nella profondità con cui il protagonista viene delineato nel suo modo di affrontare e vivere in un modo preciso e scandito e del modo in cui viene incardinato in una vita con meccanismi precisi, imperscrutabili ed ammalianti al tempo stesso, di come anche una vita meccanica abbia il potere di irretire e di farsi vivere.

Curiosità
Da questo romanzo sono stati tratti ben due adattamenti cinematografici, realizzati nel 1976 e nel 2002.

lunedì 20 aprile 2020

Recensione: I Talismani di Shannara

I Talismani di Shannara


Autore: Terry Brooks
Anno di pubblicazione: 1993
Genere: Fantasy
Editore italiano: Mondadori

Sinossi della trama
Gli eredi convocati da Allanon hanno tutti compiuto le missioni che l'Ombra del Druido aveva affidato loro e grazie ai talismani da loro recuperati, le Quattro Terre hanno finalmente una speranza di rifiorire dalla decadenza portata dalla minaccia strisciante. Tuttavia le loro mosse non sono mai passate inosservate, perché gli Ombrati e la Federazione che essi manovrano non rimangono inerti a guardare i risultati del successo degli Eredi ed organizzano con rapidità una sortita con ampio dispiegamento di mezzi e forze atte a schiacciare e soffocare nel sangue il ritorno degli Elfi e di Paranor.
La lotta finale per le Quattro Terre tra gli Eredi e gli Ombrati è iniziata.

Commento al testo
Con questo ultimo volume, Brooks interrompe la serie di narrazioni in cui si focalizzava in maniera pressoché assoluta sulle vicissitudini specifiche di alcuni dei personaggi principali del Ciclo per tornare alla disamina ad ampio respiro delle vicende che coinvolgono l'intero mondo.
Nel farlo, Brooks non solo continua l'evoluzione e la maturazione dei suoi personaggi in relazione a quanto hanno vissuto nei romanzi precedenti, ma ne introduce anche di nuovi, tratteggiandoli con una maestria ed una profondità tale da catturare subito l'interesse del lettore verso di loro e da stimolare la curiosità sulle relazioni che andranno ad intrecciare con gli altri protagonisti.
Ancora una volta, per riuscire in questo intento, Brooks non si appoggia totalmente alla novità, ma ricorre ad elementi già adottati e passati complessivamente in secondo piano nel primo Ciclo per dare maggiore organicità alle novità introdotte ed inserirle con naturalezza nel contesto delineato in tutti i romanzi precedenti: dal vecchio nasce il nuovo e la tecnica riesce a colpire ancora una volta nel segno.

A differenza del precedente romanzo, il ritmo di quest'opera è molto più incalzante, anche se mai pressante e gli intrecci sono sviluppati in maniera coerente e con pathos crescente per la sorte di tutti i soggetti e i comprimari coinvolti, rendendo piena giustizia a tutto il ciclo e ad ogni personaggio, sviscerando per il tramite di alcuni di essi anche alcuni dei temi più cari e ricorrenti all'autore, primo fra tutti il fatto che la magia, metafora del potere, cambi le persone ogni volta che la si impieghi e non sempre in maniera piacevole o anche solo prevedibile. In quest'ultima interazione poi si rende evidente sottotraccia anche una novità nella trattazione di questo tema: soprattutto a volte si richiede o può essere di giovamento la compresenza e la condivisione con altre persone del medesimo fardello.
Il romanzo tira assieme tutte le sorti e tutti i fili tracciati nel corso delle opere precedenti e risponde a tutti gli interrogativi non solo dei personaggi, ma anche del lettore, senza lasciare domande aperte o questioni in sospeso: come nel Ciclo precedente, ogni evento e fatto narrato trova la sua perfetta collocazione e la perfetta chiusura nel finale, che lascia un dolce sapore di completezza ed un gusto tutto sommato classico, ma pienamente soddisfacente.

venerdì 17 aprile 2020

Recensione: La Regina degli Elfi di Shannara

La Regina degli Elfi di Shannara


Autore: Terry Brooks
Anno di pubblicazione: 1992
Genere: Fantasy
Editore italiano: Mondadori

Sinossi della trama
Wren Ohmsford, cresciuta come una zingara tra i Vagabondi, ha ricevuto dall'ombra di Allanon la missione di riportare nelle Quattro Terre gli Elfi da tempo scomparsi. Nessuno sembrava saperne nulla e li avevano creduti estinti, ma la verità è ben altra, perché con loro è scomparsa anche la loro capitale Arborlon.
Le ricerche della ragazza e del suo mentore, lo zingaro muto Garth, li conducono oltre le coste delle Quattro Terre, su una remota isola non riportata su molte mappe e non visitata da nessuno, purtroppo per buone ragioni...

Commento al testo
Terzo volume della tetralogia del Ciclo degli Eredi di Shannara, questo romanzo si incentra al pari del precedente sulle vicende di una sola protagonista, trascurando quasi del tutto le vicende degli altri Eredi e dei loro amici ed alleati. Tuttavia, a differenza del viaggio di Walker Boh, quello di Wren ha un'impronta marcatamente diversa e per certi versi meno avventurosa e meno avvincente.
Le peripezie non mancano e le svolte e i colpi di scena che sconvolgono la psiche e la vita della protagonista non mancano, ma risultano in qualche maniera più sfumate, quasi più classiche e danno un impatto complessivamente dotato di un minor mordente.
Probabilmente è anche per via del cambio di sceneggiatura e per uno stile di comunicazione diverso e meno intenso, ma le vicende di Wren, pur avendo una rilevanza determinante per lo svolgersi degli eventi futuri, scorrono con difficoltà e il personaggio stesso della protagonista non risulta così ben definito e così importante e carismatico come tutti gli altri protagonisti e comprimari della saga.
Questo passo falso di Brooks è tuttavia un raro esempio passeggero ed il libro non è da scartare perché oltre a Wren vi sono altri elementi, eventi e personaggi che contribuiscono a complicare il viaggio o a salvarlo, oltre a verità nascoste che non riguardano esclusivamente la giovane zingara, bensì l'intero male che sta avvolgendo le Quattro Terre a cui gli Elfi devono fare ritorno e che rendono questo volume una lettura da non perdere.

mercoledì 15 aprile 2020

Recensione: Il Druido di Shannara

Il Druido di Shannara


Autore: Terry Brooks
Anno di pubblicazione: 1991
Genere: Fantasy
Editore italiano: Mondadori

Sinossi della trama
Le macchinazioni all'interno della Federazione proseguono imperterrite, ma gli Ombrati non sono più ignari del fatto che qualcuno sia in grado di fermarli e si stia muovendo per farlo ben al di là della semplice resistenza interna, che è sempre stata poco più di un fastidio in quanto nessuno dei suoi membri è dotato di alcuna forma di magia. Allo scopo di rintracciare ed eliminare discretamente la minaccia maggiore al loro dominio, decidono di ingaggiare l'assassino Pe Ell, un sadico sicario armato dello Stiehl, un pericolosissimo pugnale magico in grado di trapassare qualsiasi cosa.
Mentre gli altri eredi si dedicano alle loro ricerche, Walker Boh, discendente di Kimber e il più scettico tra gli eredi convocati da Allanon, viene a scoprire con sua sorpresa che l'antica fortezza di Paranor non è perduta, bensì sigillata al di là della portata di chiunque non sia in possesso di un antico talismano noto come Pietra Nera degli Elfi. L'ubicazione dell'artefatto gli è nota, ma non è così facile da raggiungere...

Commento al testo
Seguito de Gli Eredi di Shannara, questo volume è innovativo rispetto al precedente ciclo sotto diversi aspetti: in primo luogo si tratta di un libro che riprende gli eventi esattamente dove si erano interrotti in precedenza e non fa trascorrere anni o generazioni come in precedenza.
Inoltre, a differenza del ciclo e anche del volume precedente, gli eventi narrati si incentrano prevalentemente su una figura e sul suo viaggio, sebbene i contributi non manchino pure da altri personaggi, siano essi volontari o involontari: risulta del tutto inconsueto, ma il romanzo invece di seguire diversi archi della medesima trama, rende pochi accenni alle situazioni altrui e si concentra solo su un filone della vicenda.
In questo romanzo quindi Brooks riesce a dare approfondimenti più marcati e in particolare è la figura di Walker Boh ad avere una caratterizzazione molto approfondita: la sua evoluzione in relazione alle vicende che si ritrova a vivere e le entità con cui viene ad interagire nel suo viaggio contribuiscono a renderlo uno dei personaggi più iconici delle Quattro Terre e del Ciclo degli Eredi, nel suo passaggio da soggetto ribelle e scapestrato ad erede della missione di Allanon.
Tuttavia Walker Boh non è l'unico personaggio iconico delineato con grande maestria: in suo aiuto viene infatti un altro personaggio, creazione del Re del Fiume Argento, entità già apparsa in passato e che ancora una volta interviene in una maniera inconsueta per preservare e ripristinare i danni arrecati alla natura e all'ambiente dall'operato delle forze maligne. Ed è in tale occasione che la figlia del Re apparirà, come entità alta ed ineffabile, delicata e da proteggere e del tutto estranea alle emozioni umane, ma che durante la sua missione imparerà a conoscerle e a rispondere ad esse, nonostante il pericolo che rappresentano per lei e la sua missione.
In questo seguito, Terry Brooks continua con la sua tecnica di ripresa di vecchi elementi per introdurne di nuovi e descrive in maniera egregia paesaggi e luoghi che in precedenza erano rimasti solo sulla mappa e di cui non si conoscevano né il nome né la natura.
Il viaggio di Walker e dei suoi compagni si addentra ed affronta un male ignoto di proporzioni che si rivelano ben presto grandiose e ben oltre la portata di molti individui, un male che tuttavia deve essere sconfitto per poter permettere a Walker di affrontarne uno ancora maggiore e più strisciante per tutte le Quattro Terre.
E ancora una volta, le vicende di Walker Boh non pongono fine alle vicissitudini del ciclo, ma solo di una sua parte conchiusa.

lunedì 13 aprile 2020

Recensione: Gli Eredi di Shannara

Gli Eredi di Shannara


Autore: Terry Brooks
Anno di pubblicazione: 1990
Genere: Fantasy
Editore italiano: Mondadori

Sinosssi della trama
Diversi anni e diverse generazioni si sono succeduti dalla scomparsa di Paranor dalle Quattro Terre ed anche esse hanno cambiato volto: gli Elfi dell'Ovest sono scomparsi e gli umani del Sud non sono più una comunità sparsa e divisa, ma hanno costituito una Federazione in lotta per il dominio di tutte le Terre, con l'Est già sottomesso. Tuttavia in un mondo in cui sarebbe dovuta tornare ad emergere la scienza, è ancora la magia a permeare il mondo e la Federazione l'ha bandita e ne è alla repressiva e costante ricerca per tramite dei Cercatori.
Il vecchio enigmatico Cogline, consapevole dell'oscura minaccia degli Ombrati, giunge al Perno dell'Ade e lì, come altri Druidi del passato, evoca l'Ombra di Allanon, antico protettore delle Quattro Terre. Questi prospetta quindi al vecchio alleato di Brin Omhsford l'unica azione possibile per contrastare i nuovo male strisciante: radunare al suo cospetto tutti gli eredi viventi della stirpe di Shannara, affinché loro compiano tre imprese di importanza capitale.

Commento al testo
A distanza di anni dalla sua precedente trilogia, Terry Brooks torna nel mondo da lui creato, riplasmandolo a nuova forma ripartendo non da dove le vicende si erano interrotte, bensì dall'evoluzione di tutti quegli elementi che erano stati lasciati sullo sfondo degli eventi descritti soprattutto nel secondo e nel terzo volume del Ciclo di Shannara. Per tramite di tali elementi, la mappa fisica delle Quattro Terre è rimasta pressoché la stessa, ma quella “politica” è invece mutata parecchio, dando rilevanza soprattutto all'umanità e ad una sua evoluzione non esattamente illuminata, con le sue molteplici ed oscure estensioni, ma anche con le sacche di resistenza ed i barlumi di rettitudine morale che ancora sussistono.
In un quadro tanto fosco, si trova poi spazio per le memorie di un passato migliore: non solo alcuni dei personaggi principali hanno vivide memorie dei loro antenati e ne cantano le storie e le gesta in maniera esplicita, sfruttando così un chiaro rimando ai romanzi del ciclo precedente, ma anche alcuni dei luoghi più iconici ed alcune delle reliquie dei tempi passati sono carichi di storia e al tempo stesso hanno subito diverse mutazioni ed alterazioni con il passare del tempo e delle generazioni, rendendo le Quattro Terre uguali e diverse in maniera inequivocabile. I lettori più nostalgici che hanno letto l'intero ciclo precedente hanno in questo modo dei capisaldi di riferimento e i nuovi lettori che si approcciano per la prima volta a questo mondo hanno comunque dei riferimenti ben spiegati, per quanto sintetici, al motivo dell'importanza di tali luoghi ed eventi.

Un altro esempio lampante dello stile dell'autore nella ripresa di elementi ricorrenti e di una base certa da cui ripartire è anche il ritorno di varie figure, sia già viste in precedenza, sia dei loro semplici nomi: Allanon, già protagonista e motore delle vicende del Ciclo di Shannara, riappare ancora una volta con un ruolo di guida, benché più sfumato per la sua condizione di Ombra, ma anche Cogline, ancora vivo dopo il tempo passato della Canzone di Shannara, fornisce un elemento di ripartenza per iniziare a narrare eventi di cui poi altri saranno protagonisti, i quali a volte seguono ruoli quasi tramandati da una linea dinastica altre volte si ritrovano loro malgrado coinvolti in eventi di cui avrebbero preferito ignorare l'esistenza ed il richiamo.
Ripartendo da un mondo con pochi punti apparentemente trascurati ed evoluti in maniera del tutto naturale, Brooks consegna al lettore un mondo nuovo, in cui una cappa d'oscurità sembra ammantare tutto e in cui la rinascita sembra impossibile, eppure affidata ad un sottile filo di speranza, a cui in pochi credono, ma che si dipanerà in un intreccio di cui questo volume è solo la base di ripartenza, non solo di trama, ma anche di stile.

Curiosità
A differenza di tante altre saghe del ciclo di Shannara, il ciclo degli Eredi è l'unica tetralogia. Ad oggi è disponibile una raccolta di un unico volume comprensiva di tutti e quattro i libri del ciclo.

venerdì 10 aprile 2020

Recensione: Millennio di Fuoco - Raivo

Millennio di Fuoco – Raivo



Autrice: Cecilia Randall
Genere: Fantasy
Anno di pubblicazione: 2014
Editore italiano: Mondadori

Sinossi della trama
Seija, dopo aver scoperto inquietanti verità nel modo più inatteso, è divenuta suggello di un'alleanza politica destinata a portarla al matrimonio con il principe Lothar di Svevia. Il benevolo signore cristiano ha infatti una duplice intenzione: restaurare il decaduto Sacro Romano Impero per unire il fronte umano contro i Vaivar e acquisire il segreto delle Lame Fiamma per avere maggiori possibilità di realizzare entrambi gli obiettivi. In cambio, il nobile ha promesso di dare finalmente al popolo Saahavi una terra tutta propria ed una protezione contro chiunque voglia far loro del male in quanto pagani.
La promessa sembra davvero allettante e gli accordi vengono presi abbastanza rapidamente, ma i piani sono guastati da Raivo: il geniale comandante di una legione Manvar riesce infatti contro ogni previsione a conquistare una roccaforte strategica poco prima dell'inverno, assicurando una testa di ponte all'esercito avversario.
Questa impresa, ritenuta impossibile, rimanda ogni intenzione e ogni trattativa e lascia quindi a Seija e al suo popolo il tempo di pensare bene alle promesse del nobile...

Commento al testo
La seconda ed ultima parte della saga si apre in maniera non meno avvincente della precedente e riprende gli eventi non immediatamente dopo la conclusione del primo volume, ma sviluppa egregiamente le conseguenze degli stessi e porta avanti un intreccio in cui ben poco è come sembra e dove i soggetti che più si odiano a vicenda sono però anche quelli disposti ad essere i più sinceri ed affidabili.
Senza aggiungere altri punti di vista narranti a quelli già introdotti e sfruttati in Seija, l'autrice mantiene intatte le stesse caratteristiche narrative già viste nella prima parte e riesce ad introdurre nuovi personaggi e a muovere nuove e vecchie figure in un susseguirsi di trame e di macchinazioni che si incontrano e cercano di avvantaggiarsi delle varie situazioni per cercare di eliminare Seija e Raivo e non esitano a manipolare anche le persone più inattese e a ricorrere agli espedienti più subdoli pur di arrivare a realizzare i propri scopi.
Continuando a mostrare eventi e a ribaltarli con verità inaspettate, accrescendo la percezione del lettore della minaccia dei Vaivar con la consapevolezza che non è solo la Baviera ad essere ostaggio dell'assedio nemico e mostrando come pure il fronte dei nemici sia più sfaccettato di quanto non appaia, il secondo volume del Millennio di Fuoco tiene fede al suo nome ed incalza con un ritmo sempre più avvincente ed accattivante fino alla conclusione degli eventi, in cui nulla si sviluppa come viene atteso. E dopo tutte le pagine scritte e lette, un nuovo millennio si apre con scenari ancora tutti da esplorare, ma potenzialmente non meno caldi dei secoli passati a lottare contro una minaccia per molti versi apocalittica.
La breve saga quindi si conclude in una maniera organica e convincente sul calare del distopico 1999, ma il finale viene lasciato socchiuso: un millennio infuocato finisce come nessuno avrebbe mai potuto immaginare prima delle pagine conclusive, ma un nuovo millennio si apre con una minaccia non ancora sventata e un conflitto fra razze che non si è ancora concluso e di cui non si vede la fine... ma da cui può sempre nascere un nuovo inizio.

mercoledì 8 aprile 2020

Recensione: Il Processo

Il processo



Autore: Franz Kafka
Anno di pubblicazione: 1925
Genere: Narrativa
Editori italiani: Mondadori (1971, 1975, 1988), Adelphi (1973), Einaudi (1983), Rizzoli (1986), Feltrinelli (1995), Giunti (2006)

Sinossi della trama
Joseph K, impiegato di un importante istituto bancario di Praga, alle soglie del suo trentesimo compleanno riceve un regalo davvero poco gradito: due figuri che si qualificano vagamente come poliziotti e che lo dichiarano in arresto per un non meglio precisato crimine, senza tuttavia portarlo in prigione e lasciandolo anzi libero di andare al lavoro. A rendere ulteriormente surreale la giornata, i supposti agenti di polizia lo informano anche che a suo carico è stato anche aperto un processo, ma anche su questa notizia non gli vengono forniti dettagli di alcun genere.
Joseph allora, avendone la possibilità, cerca di adoperarsi per risolvere in fretta quello che gli sembra un grosso equivoco, ma purtroppo per lui è solo l'inizio del suo calvario giudiziario...

Commento al testo
Il romanzo, l'ultimo della produzione di Kafka, è intriso di molti temi e particolarità e riflette non solo il clima peculiare di una città come Praga, che ricostruisce in maniera comunque vaga, ma anche e soprattutto riflettendoci le proprie ansie personali e i propri complessi in un insieme che risulta nel complesso tanto surreale quanto alienante.
Il libro parte in una maniera chiara e netta, con un incipit ben preciso, sintomo della coscienza e delle certezze del protagonista e del lettore e che allo stesso tempo contiene tracce dell'ignoto. Il percorso del protagonista si avvia su una fase di certezze e di sforzi razionali ed organizzati per cercare di risolvere presto e bene la vicenda in cui si è ritrovato senza sapere né come né per quale ragione, ma man mano che il testo procede, le certezze cominciano a vacillare sempre di più, di fronte alla continua e costante mancanza di riferimenti, di informazioni, di dettagli e di trasparenza: in tal modo non è solo il protagonista a rimanere spiazzato di fronte alle opacità e alle incomprensibili dinamiche di un processo di cui si sa solo che sia in atto, ma pure il lettore si sente alienato di fronte a delle vicende che non hanno punti fermi, ma una crescente angoscia per via di un fenomeno strisciante ed incomprensibile, i cui effetti sono sempre più degradanti nei rapporti con tutti, dalle donne ai vicini, fino all'ambiente lavorativo. La situazione è talmente avvilente e tanto inestricabile che persino gli atti di ribellione di Joseph e i suoi tentativi di mantenere la propria dignità si rivelano effimeri e forse sono anche la causa dell'aggravarsi della situazione e degli eventi, ma anche di ciò non vi è una certezza definita e molte domande, di Joseph come del lettore, sono destinate a rimanere nel limbo dell'insondabile processo.

Curiosità
Il romanzo non è mai stato completato dall'autore a causa della sua morte avvenuta nel 1917: l'impianto era già stato completato, ma alcuni dei capitoli centrali dell'opera erano ancora in corso di revisione e sono quindi reputati come incompiuti. Il romanzo venne pubblicato solo nel 1925 da Max Brod, il quale, come altre volte è avvenuto nella storia, ha contravvenuto alla volontà dell'amico ed invece che bruciare il manoscritto, ha provveduto a completarne la revisione. Anche a causa di questo procedimento, il romanzo risulta in alcune parti anche più spezzettato e frammentario di quanto non sia lo stile di Kafka.

Da quest'opera sono stati anche tratti un adattamento cinematografico del 1962, diretto ed interpretato da Orson Welles, ed uno sceneggiato RAI del 1978.

lunedì 6 aprile 2020

Recensione: Millennio di Fuoco - Seija

Millennio di Fuoco - Seija



Autrice: Cecilia Randall
Genere: Fantasy
Anno di pubblicazione: 2013
Editore italiano: Mondadori

Sinossi della trama
In un mondo in cui l'Alto Medioevo non è mai finito è 1999 ed è da ormai quasi un millennio che il mondo è stato invaso dalla specie dei Vaivar, assalitori misteriosi e ritenuti demoniaci capaci di infettare l'umanità e di trasformarla in schiavi Manvar.
La Baviera è uno dei tanti teatri di una guerra infinita tra gli uomini che rifiutano la resa e l'esercito di Manvar e Vairvar, che sembrano non conoscere la sconfitta, ma solo una battuta d'arresto che appare tuttavia momentanea in quello che è uno dei territori del decaduto Sacro Romano Impero.
In questa lotta, non mancano i popoli reietti: tra questi i Saahavi, popolo pagano esule dopo l'invasione dei Vaivar che riesce a resistere a dispetto di tutto grazie alla capacità di produrre le Lame Fiamma, pugnali letali contro i demoniaci invasori.
Seija è la giovane figlia del capoclan dei Saahavi e, nonostante sia poco più che ventenne, è già una veterana di guerra, che nel pieno di quella che pare essere l'ennesima battaglia contro l'esercito dei mostruosi nemici, ha l'occasione di conficcare la propria Lama Fiamma nel corpo del Traditore, ex condottiero umano divenuto uno dei più abili e temuti generali Manvar.
Le circostanze di questa insperata vittoria non sono tuttavia dovute alla sola fortuna: Seija ne è pienamente consapevole e i suoi dubbi non possono che aumentare la notte stessa della vittoria...

Commento al testo
Il romanzo parte subito nel definire un contesto ucronico, lasciando spazio a premesse chiare e immaginando un mondo mai evolutosi perché costretto ad una guerra di portata tale da non consentire alcun vero progresso tecnologico, teologico o sociale: l'autrice ha creato un evento di portata epocale e per certi versi apocalittico e ha tratteggiato così lo sforzo umano di sopravvivere alla minaccia con i mezzi che ha a disposizione.
In questo modo l'autrice risulta molto originale, perché dipinge un insolito mondo post-apocalittico in chiave fantasy senza tuttavia ricorrere alle ormai canoniche lande desolate in cui si muovono aberrazioni di ogni genere. I mostri esistono anche in questo mondo distopico, ma hanno caratteristiche comunque nette e definite, tratteggiate con cura e con dovizia di particolari... e soprattutto con diverse sfumature, a seconda che ad osservarli siano umani o meno.
I tratti originali di questo romanzo non si esauriscono tuttavia qui, perché risulta assai inconsueto anche il popolo della protagonista: un popolo pagano in mezzo a terre cristiane e unico in grado di produrre un'arma efficace contro i nemici invasori accentua infatti il senso di distopia, ma allo stesso tempo consente di dare un punto di vista distaccato e diverso rispetto a quello del resto di quello che si può definire ancora come il mondo civilizzato. Un punto di vista che ha le sue basi e le sue ottiche, ma è anche scevro delle impalcature e dai pregiudizi tipici della civiltà che ancora resiste, grazie al quale la protagonista è in grado di accorgersi e di apprezzare i valori, ma di constatare anche le ombre della civiltà stessa e allo stesso tempo anche i tratti dei nemici, che dietro il fronte belligerante sono ben più delle bestie dipinte dagli umani.
Lo stile con cui è scritto l'intero romanzo si alterna fra pochi punti di vista, ognuno talmente ben caratterizzato da far suscitare emozioni e soprattutto da indurre il lettore a provare le stesse emozioni del testimone di turno... o a provare addirittura riprovazione per le opinioni espresse o le azioni compiute. In ogni modo, la scrittura è sempre fluida e il susseguirsi degli eventi è costantemente incalzante e non scade mai nel banale: ad ogni passo compiuto corrisponde sempre una svolta o una scoperta e ogni sviluppo non si può mai ritenere definitivo, che spinge a continuare a leggere fino all'ultima pagina che chiude la prima delle due parti della saga del Millennio di Fuoco.

venerdì 3 aprile 2020

Recensione: Cime Tempestose

Cime Tempestose



Autrice: Emily Bronte
Genere: Romanzo Vittoriano
Anno di pubblicazione: 1847
Editore italiano: F.lli Treves (1926, 1934), Garzanti (1941), Utet (1950), Fabbri (1961) Bur-Rizzoli (1978, 2012, 2013, 2017), Mondadori (1983, 2012), Newton Compton (1993), Bompiani (2018) , Einaudi (2019)

Sinossi della trama
Il ricco Mr. Lockwood affitta la tenuta di Thrushcross Grange, abitazione sperduta nella brughiera inglese, per sfuggire all'affollato e caotico ambiente cittadino. In una visita ai vicini e al padrone della tenuta, Mr. Heathcliff, viene sorpreso da una tempesta e viene quindi malvolentieri ospitato nella casa colonica di Wuthering Heights, dove risiede l'enigmatico e distaccato locatore assieme ad altri individui che mal si sopportano. Nel corso della notte avviene un fenomeno particolare: un fantasma sembra apparire alla finestra dell'ospite e Heathcliff, sorprendentemente, sembra volerlo far entrare invece di scacciarlo.
Ammalatosi in seguito a tali eventi, Lockwood si fa raccontare dalla governante Nelly Dean la storia della tenuta e le origini di quell'evento singolare. La donna allora rievoca le lontane memorie, proprie e altrui, di quello che è stato un grande e tormentato amore...

Commento al testo
L'opera unica di Emily Bronte, oggi annoverata tra i grandi classici della letteratura inglese, è un libro che colpisce molto per struttura, stile ed eventi narrati.
Il libro infatti presenta una curiosa struttura simmetrica al suo interno: i primi e gli ultimi capitoli del romanzo sono avulsi dagli eventi e sono posteriori ad essi, tratteggiando le conseguenze di ciò che è avvenuto decenni prima dell'arrivo di Lockwood, inconsapevole narratore degli stessi per mezzo di testimonianze dirette o indirette. Gli altri capitoli sono invece equamente suddivisi nel dare spazio alle vicende e ai patimenti di due generazioni delle due famiglie coinvolte e sconvolte da Heathcliff, famiglie che anche nel numero dei componenti presentano una struttura identica: un capofamiglia e due discendenti, oltre alla servitù. Tutta una simmetria curiosamente e forse irrealisticamente perfetta, frutto del gusto dell'epoca vittoriana, che viene tuttavia turbata ed irrimediabilmente sconvolta per sempre dall'arrivo in casa di un orfanello accolto per pietà.

Lo stile riprende la tecnica, diffusa nell'Ottocento, della narrazione a posteriori tramite il racconto dei fatti da parte di fonti esterne alla voce narrante, ma a differenza di altre opere più o meno coeve, l'autrice non arriva a dipingere una vicenda a lieto fine e non muove grandi critiche alla società del suo tempo: quel che viene invece salta all'occhio è il modo netto e vibrante con cui i sentimenti sono resi dai vari personaggi, di come le loro emozioni sono vivide e palpabili e soprattutto la loro intensità in certe parti anche violenta e travolgente, in particolar modo quelle di Heathcliff e delle persone che coinvolge e sconvolge con il suo amore, il suo odio e le sue manipolazioni passionali e meschine al tempo stesso.

Il romanzo presenta una vicenda molto terrena, ambientato in un territorio ben definito e ben noto ai lettori del tempo, quello della brughiera inglese: in tale luogo ampio ed indistinto al tempo stesso si dipana una storia in cui un solo piccolo essere di radici ignote e sconosciute è in grado di portare scompiglio con la sua presenza e con la sua passionalità turbolenta non in una, bensì in due generazioni, con la sua forza interiore impetuosa come quella di una tempesta, che gli consente di arrivare dove vuole e che non si arrende nel suo desiderio nemmeno di fronte alla morte.
Tuttavia, in mezzo ad una storia concreta in tutti i suoi elementi, appaiono anche degli elementi sovrannaturali la cui natura non è né spiegata né smentita dall'autrice e che non rimangono a semplice corredo di una vicenda intricata e tormentata: difficile comprendere se tali elementi vogliono aggiungere un tocco particolare all'ambientazione riprendendo dal folklore inglese riguardo agli ambienti della brughiera oppure se risentano di una qualche influenza da parte dei coevi romanzi gotici, ma di fatto la storia contiene anche qualche influenza da parte di eventi inspiegabili e forse sovrannaturali.

Curiosità
Il romanzo, pubblicato originariamente nel 1847 sotto lo pseudonimo di Ellis Bell, non venne accolto favorevolmente dalla critica del tempo per la sua struttura più complessa di quella di altri romanzi senza narratore oggettivo e soprattutto per la sua inconsueta violenza nella rappresentazione delle emozioni e dei sentimenti, al punto che venne inizialmente tacciato di immoralità.

Dalla seconda edizione, pubblicata postuma dalla sorella Charlotte nel 1850, l'opera è stata riabilitata, studiata e tradotta, tanto da avere anche citazioni e paragoni anche in altri studi letterari e citazioni in opere musicali.
Dall'opera sono stati tratti anche vari adattamenti cinematografici più o meno fedeli e persino due sceneggiati RAI, del 1956 e del 2012.

giovedì 2 aprile 2020

Recensione: Dracula

Dracula


Autore: Bram Stoker
Anno di pubblicazione: 1897
Genere: Gotico – Horror
Editore italiano: Sonzogno (1922), Longanesi (1959 e 1966), Mondadori (1979 e 2005)

Sinossi della trama
Jonathan Harker, giovane avvocato londinese, è in viaggio d'affari in Transilvania per incontrare il Conte Dracula e curare con lui i dettagli della compravendita di una dimora in Inghilterra, dove il nobile è intenzionato a trasferirsi. La popolazione locale è scaramanticamente intimorita anche solo dal nome Conte e cerca di dissuadere lo straniero dai suoi propositi, ma l'aristocratico per contro si presenta come un anziano individuo affabile, ospitale e di molte buone maniere, a discapito del fatto che viva in un maniero piuttosto isolato e arroccato su una cima da cui domina l'area circostante. La permanenza di Harker inizialmente si rivela piacevole, ma con il trascorrere dei giorni cominciano ad apparire fatti sempre più strani ed inquietanti, fino alla terrificante scoperta sulla reale natura del Conte e del suo maniero...
Poche settimane dopo, in Inghilterra iniziano ad accadere fatti strani, di cui è invece testimone Mina Murray, fidanzata di Harker, fatti che la giovane non si sa spiegare mentre non ha notizie di Jonathan e ne attende il ritorno a casa di un'amica...

Commento al testo
Seguendo lo stile a lui contemporaneo, oggi desueto eppure ancora intrigante ed attuale, l'autore racconta le vicende con una narrazione discontinua e non con un unico punto di vista: i vari personaggi principali hanno ciascuno il proprio punto di vista, ma tutti gli intrecci sono descritti in prima persona con uno stile unico per delineare ciascun “soggetto scrivente”. Come altri autori dell'epoca e dello stesso genere legato all'orrore del tardo Ottocento, Stoker finge costantemente che la sua narrazione non sia un punto di vista ritratto da un'ottica più o meno ravvicinata, ma che sia composta da un mosaico formate dalle vive voci dei protagonisti: l'intero romanzo è infatti strutturato come una serie di estratti dai diari e di trascrizioni dalle registrazioni fatte dai personaggi che narrano gli eventi a posteriori, con solo qualche sporadica interruzione data da altri pezzi simili ad articoli di giornale o lettere per integrare al lettore il quadro degli eventi che saranno poi vissuti ed affrontati.
Tale tecnica permette una costruzione progressiva degli eventi inspiegabili e delle sensazioni che lasciano di volta in volta agli altri e di come anche i protagonisti si vedano l'un l'altro e di come mutino le loro opinioni quando alle risposte che riescono ad ottenere si sommano nuove e peggiori domande e quando gli eventi non si risolvono nonostante i risultati raggiunti nella lotta contro la minaccia.

Interessante è altresì il fatto che tutti i vari personaggi principali siano tutti ben definiti, ognuno con la propria psicologia e le proprie abitudini e sfumature, mentre il vero personaggio principale, l'essere che dà il titolo al libro, non si ricostruisce alla stessa maniera: salvo che nella parte iniziale, in cui la sua natura non è ancora chiara ad Harker, Dracula non ha particolari interazioni verbali e non pronuncia alcun discorso fatidico e degno di nota, lasciando che le sue azioni parlino per lui. Tutto ciò che lo riguarda è riportato nei diari delle persone che lo incontrano e che con lui si scontrano, ogni volta che compare in scena o che viene semplicemente citato, le sensazioni sono completamente diverse e le sue azioni muovono ed influenzano tutti, che ne rimangono inevitabilmente influenzati e cambiati. Tuttavia le caratteristiche salienti del Conte vengono viste e dipinte ogni volta in maniera diversa a seconda del personaggio narrante e del suo modo unico di vivere gli eventi: il risultato è una figura oscura, tetra, potente e minacciosa, ma la cui caratteristica più rilevante è il poco che in fondo se ne sa al di là del folklore sui vampiri, lasciando un ampio margine di mistero attorno alla figura particolare di Dracula.

Curiosità
Sebbene le ricerche storiche abbiano riconosciuto la figura del sovrano valacco Vlad Tepes Hagyak III, meglio noto come Vlad l'Impalatore, Stoker ha distolto l'attenzione dalla figura realmente esistita per concentrarsi su alcuni elementi mitologici della Transilvania per creare una figura completamente diversa e per molti versi unica nel suo genere.
La scelta artistica è stata di sicuro azzeccata, perché non si può negare come Dracula sia stata e ancora sia una fortissima fonte di ispirazione: non solo il romanzo di Stoker è stato trasposto al cinema in versioni più o meno fedeli, ma la figura stessa del Conte Dracula, tratteggiata con tratti definiti e sfumati al tempo stesso, è stata oggetto delle più ampie visioni, ritrasposizioni e rivisitazioni in un numero di opere praticamente senza pari, passando dal taglio più comico-parodico (si pensi ad esempio al film “Fracchia contro Dracula” o alla versione interpretata da Lesley Nielsen) a quello erotico fino ai filoni più recenti come “Dracula Untold”.

Tuttavia le trasposizioni e le accezioni non sono solamente cinematografiche, in quanto la figura del Conte Dracula ha avuto citazioni, rivisitazioni e opere nuove pure su altri medium, quali opere musicali, fumetti e persino ludiche: è stato infatti pubblicato nel 1987 un libro-game che vede protagonisti sia Harker sia il Conte stesso nel suo maniero in Transilvania e sono indubbie le influenze della figura e del folklore di Dracula nel tratteggiare il personaggio del Conte Strahd e la dimensione di Barovia nelle ambientazioni del famoso gioco di ruolo Dungeons & Dragons.

Nel 2009 è stato pubblicato il seguito ufficiale di Dracula, intitolato “Undead – Gli Immortali” firmato da Dacre Stoker, pronipote dello scrittore, in collaborazione con Ian Holt, mentre nel 2019 è ancora il pronipote, insieme a J. D. Barker, a pubblicare un prequel basato sulle pagine del romanzo originale di Bram Stoker non inserite nell'edizione poi pubblicata.

mercoledì 1 aprile 2020

Recensione: Frankenstein o il moderno Prometeo

Frankestein o il moderno Prometeo


Autrice: Mary Shelley
Genere: gotico, horror, fantascienza
Anno di pubblicazione: 1818
Editore italiano: De Luigi (1944), Rizzoli (1952 e 1975), Sugar (1968), Mondadori (1982, 1986, 1988, 1993), Newton & Compton (1993)

Sinossi della trama
L'esploratore Robert Walton si trova nella regione artica in cerca del motivo per cui la bussola punti sempre a nord. In mezzo ai ghiacci però trova qualcosa di diverso e completamente inatteso: una slitta con una creatura grottesca che però sfugge presto allo sguardo ed una seconda che ha invece i cani sfiniti ed il proprietario mezzo morto di freddo.
Quest'ultimo invece riesce a salire a bordo per cercare di riprendersi dal suo percorso e dalle sue condizioni ormai precarie e si presenta come il dottor Victor Frankestein, uno scienziato di Ginevra dalla lunga e triste storia.
L'uomo aveva vissuto un'infanzia felice, ma in abbastanza giovane età perse la madre per una malattia e l'evento segnò profondamente Frankenstein, il quale da allora coltivò l'intento di creare una vita più lunga, perfetta e non soggetta alle malattie e si dedicò quindi agli studi medici e alla filosofia naturale in Germania, dove nottetempo apriva le tombe e studiava i processi di decomposizione per trarne le informazioni che gli servivano.
Una volta acquisite le competenze e le conoscenze necessarie, riesce a completare la sua opera sfruttando l'elettricità per dare vita alla materia inanimata, ma poi abbandona la sua stessa creazione dopo averne constatato l'aspetto deforme e la natura inumana.
Spera quindi che la creatura mostruosa e grottesca da lui creata muoia abbandonata a se stessa, ma l'essere invece sopravvive...

Commento al testo
Mary Shelley compone molto giovane questo racconto e riprende uno stile epistolare: la narrazione è infatti una ricostruzione a posteriori composta da una serie di supposte lettere scritte dall'esploratore Walton alla sorella, in mezzo a cui vi sono i carteggi e le memorie riordinate del dottor Frankenstein, creando un effetto di suspance con le interruzioni giocate nei punti giusti. Il racconto parte in maniera strana e con l'arrivo dello scienziato sulla nave si inizia a delineare un quadro ben definito, ma di cui si ha fin da subito una sensazione strana e bizzarra e man mano che le lettere si susseguono, i toni si fanno sempre più cupi e il dramma si consuma.

L'opera di Shelley è diventata quasi subito un'opera di incontrastato successo ed uno degli esempi del romanzo gotico, dipingendo una creatura con pochi tratti chiari e lasciando all'immaginazione del lettore i dettagli di quelle stesse caratteristiche delineate dall'autrice. A differenza però di altri autori coevi, l'autrice presenta alcuni tratti distintivi unici: in primo luogo è da rimarcare come l'elemento sovrannaturale non sia estrinseco ed invasivo della realtà naturale, ma sia indotto nella sola creatura da incubo dalla mano, dai mezzi e dall'ambizione dell'uomo e ne rappresentano altresì il frutto inatteso e quasi il contrappasso di una fiducia eccessiva, anch'essa tipica dell'Ottocento, nelle potenzialità viste come illimitate dei mezzi e della scienza umana.
Proprio questa caratteristica permette di annoverare l'opera di Shelley come un esempio anche di romanzo fantascientifico: benché i risultati ad oggi non siano notoriamente realistici, l'autrice riprende concetti e teorie ipotizzate dalla comunità scientifica ai suoi tempi e usa ampia dovizia di particolari tecnici per descrivere le osservazioni, le cognizioni acquisite, gli intenti praticati, i mezzi impiegati e le operazioni compiute dal dottor Frankenstein per dare vita alla sua creatura.
Altra notevole differenza da altri esponenti del genere è il fatto che l'incubo ha una propria voce e delle proprie ragioni e le espone direttamente al suo creatore, dando anche una vivida prova di come la sua esistenza non sia intrinsecamente maligna, ma di come la fonte del male di cui esso è portatore sia l'uomo stesso e la sua incapacità di accettare qualcosa di diverso e di brutto.
Questo delinea non solo il percorso, ma anche la condanna dell'uomo, sempre gravato dal peso delle conseguenze della sua follia, ma permette anche di mostrare come quelle stesse conseguenze potrebbero essere affrontate con esiti completamente diversi se solo si avesse un approccio diverso e più aperto a comprenderle invece di rifuggirle a priori.

Curiosità
Il romanzo di Mary Shelley ha avuto due pubblicazioni in due momenti diversi, la prima delle quali è stata in forma anonima e non ha incontrato il gusto dei critici dell'epoca, che ne hanno ignorato la morale intrinseca; la seconda edizione invece, pubblicata nel 1831 dopo la morte del marito e rivista in alcuni aspetti, ha sorpreso la critica in chiave positiva.

L'opera, pubblicata agli inizi dell'Ottocento, ha avuto una risonanza tale da renderla immortale, ma nel corso del tempo Frankenstein è passato dall'indicare lo scienziato creatore del mostro ad identificare confusamente il mostro stesso, entrato quindi nell'immaginario collettivo con questo nome quasi per antonomasia.

La figura del “Mostro di Frankenstein” è state praticamente da sempre una fonte di ispirazione per molte opere derivate, tanto che ne sono state tratte diverse opere reinterpretando o citando la stessa figura nelle più varie chiavi nelle opere cinematografiche, inserendola poi anche in combinazione o anche in contrapposizione con altre figure iconiche dei romanzi gotici o del folklore horror, come ad esempio i licantropi oppure Dracula.
Meno frequenti, ma non meno interessanti sono anche le riprese e le citazioni anche in altre opere letterarie, musicali, teatrali e persino ludiche, tra cui spicca come un unicum l'edizione del 1989 di un omonimo librogame che permette di vestire i panni sia del dottor Frankenstein sia del mostro in un reciproco inseguimento nella regione artica dove il romanzo di Shelley si apre e si conclude.